Nel 1985 un medico americano, Richard Gardner, descrisse la Sindrome di Alienazione Parentale, come una condizione psichiatrica di malattia mentale grave che affliggerebbe madre e bambino durante le cause di separazione/divorzio, una sorta di “follia a due” che avrebbe per vittima il padre. La madre eserciterebbe una campagna di denigrazione contro il padre cercando di distaccare il figlio da lui mentre il bambino, molto più di semplice vittima, parteciperebbe attivamente a tale opera diffamatoria, arrivando spesso a formulare false accuse di abuso sessuale. Tale sindrome fu “creata” proprio, con parole di Gardner in risposta “all’isteria dell’abuso sessuale”. In quegli anni, infatti, negli Stati Uniti vi fu una presa di coscienza sul maltrattamento intrafamiliare con molte denunce, spesso all’interno di cause di separazione. La pretesa sindrome finì per influenzare i Tribunali americani, con effetti tremendi: suicidi, omicidi, fughe da casa, incarcerazione di bambini negli anni a seguire. La terapia della sindrome, infatti, secondo Gardner consisterebbe, nei casi più gravi, nella sospensione dell’affidamento alla madre, nel trasferimento della custodia del figlio al padre addirittura con l’interruzione di ogni tipo di contatto conla madre. Quindiuna malattia curata da un provvedimento coercitivo del Giudice. Ed una terapia imposta con la “minaccia” della sospensione del contatto coi figli. Gardner stesso si rese conto della pericolosità di tale disposizione e pertanto, in scritti successivi, propose un cosiddetto “periodo di transizione” ponendo il bambino in istituto prima del passaggio nella casa paterna. Una sorta di “desensibilizzazione”. Naturalmente senza contatti con la figura materna. I cosiddetti “sintomi” del bambino: la “denigrazione” del padre, con motivazioni ritenute dall’esaminatore “frivole, assurde, deboli”; la mancanza di ambivalenza, l’assenza di senso di colpa, il supporto alla madre, il fenomeno del “pensatore indipendente”, vale a dire le giustificazioni che il bambino fornisce per spiegare che il suo pensiero è autonomo, che non c’è induzione materna, il raccontare fatti e scene che, all’uditore, sembrano da adulti, fuor di luogo per l’età del bambino ed infine, l’eventuale ampliamento delle critiche alla famiglia ed agli amici del padre (per esempio la nuova fidanzata), permettono di “diagnosticare” la sindrome nella madre. L’atteggiamento di rabbia, paura, aggressività della madre in Tribunale, la sua combattività nel difendere il figlio sarebbe prova stessa dell’esistenza della PAS ed indicatori della sua gravità. Il suo fare riferimento a Tribunali, organi di Polizia, servizi di protezione dell’infanzia è “sintomo” di PAS. Ogni comportamento che può essere interpretato come ostacolante il rapporto dei figli col padre diventa un chiaro segno di PAS. Non solo, ma più il bambino critica il padre, racconta fatti, tenta di difendere la mamma, è irremovibile verso le visite al padre, più abbiamo la prova della PAS. Si comprende facilmente come tutti questi comportamenti, di mamma e bambino, possano essere del tutto fisiologici in caso di violenza di genere e di violenza intra-familiare, anzi la PAS con le parole di un Avvocato americano è ”il sogno dell’avvocato della difesa penale poiché ….più grande è la prova del crimine, più grande la prova della difesa”. In altre parole la PAS imbavaglia donne e bambini. Se la madre è convinta dell’abuso è normale che sia spaventata, che non voglia lasciare i figli soli col padre, che tenti di difenderli, che cerchi di spiegare a Giudici ed operatori le proprie opinioni e tanto più non sarà ascoltata ma ogni sua parola addirittura usata contro di lei e contro i suoi figli, tanto più diventerà arrabbiata e violenta e smetterà di parlare. Quando poi le sarà detto che “se non la smette” le vengono tolti i figli per consegnarli proprio al padre che lei ritiene violentatore, presumibilmente odierà sé stessa per aver iniziato questa battaglia. I bambini, del tutto ignari della punizione, si fideranno del Tribunale e finiranno, se considerati esagerati, in istituto o direttamente proprio dal padre abusante. Interessante è notare la differenza abissale tra l’interpretazione di Gardner dei comportamenti delle madri ed i suggerimenti della Associazione Americana degli Psicologi: “Se il Tribunale ignora la storia di violenza come contesto per il comportamento materno in un caso giudiziario per la custodia dei figli, la madre può apparire ostile, non cooperativa, o mentalmente instabile. Per esempio può rifiutare di far sapere dove abita, può opporsi a visite non protette col padre, specialmente se pensa che il suo bambino sia in pericolo. Lo psicologo che minimizza l’importanza della violenza contro la madre o che patologizza la sua risposta ad essa, può accusarla di alienare il bambino dal padre e può raccomandare di dare al padre la custodia a dispetto della sua storia di violentatore”.
Ma vi è di più: la PAS è una invenzione di un ideologo della pedofilia che trova le sue radici e la sua giustificazione nella teoria dei Gardner sulla sessualità umana che enfatizza il contatto sessuale tra adulto e bambino vedendolo come benefico alla conservazione della specie: la pedofilia e l’incesto sono atti benigni, moralmente accettabili, che non rappresentano abuso, considerati intollerabili solo per effetto di una società moralista. Non è affatto vero che l’atto sessuale tra un adulto e un bambino determini necessariamente un danno: il bambino può “godere immensamente” di tale atto, e spesso, è proprio lui che seduce l’adulto. È l’atteggiamento moralista della società che nuoce al bambino abusato, che lo fa sentire in colpa, che non gli permette di elaborare coi meccanismi suoi propri l’evento “incontro sessuale”. La madri sono “isteriche”, personalità patologiche, spesso ex-bambine abusate con rancore sepolto, con gravi problemi sessuali. Più del 95% delle accuse di abuso sessuale sono false, secondo Gardner e lo strumento PAS permette di svelare le falsità. Non ci si attarda qui a spiegare le farneticazioni di questo signore, fatto sta che la sua teoria riuscì ad influenzare i Tribunali fino a quando i Magistrati, in primo luogo, si resero conto che qualcosa non andava e importanti associazioni si espressero in modo fermo, sulla inammissibilità della PAS nei Tribunali, per il rischio che essa “imbavagli” la giustizia penale. Anche Società Scientifiche mediche si sono espresse in tal senso, come i Neuropsichiatri spagnoli. La PAS, infatti, non ha mai dimostrato una vera base scientifica né è stata mai inclusa nel DSM o nell’ICD. In più di un quarto di secolo dalla sua formulazione nessuno è riuscito a portare prove a suo sostegno. Nel tempo Gardner sostenne che anche le madri a volte possono essere bersaglio della PAS dei mariti ma sostanzialmente la PAS torna sempre ad essere una “sindrome” esclusiva delle madri. Si comprende bene come in questo modo vengano profondamente lesi i più basilari diritti civili di donne e bambini e come tutta l’architettura della PAS oltre ad essere fondata su basi inesistenti sia costruita in modo e con lo scopo di difendere i padri abusanti.
Mentre è pacifico che esistono bambini che, in certe fasi della loro vita, soprattutto nella fase acuta di un divorzio, mostrano comportamenti di rifiuto verso un genitore e di maggiore amore e disponibilità verso l’altro, non vi è alcuna evidenza che tale atteggiamento sia necessariamente patologico, anzi esso può costituire un comportamento di difesa a traumi, abusi, difficoltà oggettive anche temporanee, ad un conflitto di lealtà verso un genitore che si sente come vittima, né vi è evidenza che tale atteggiamento sia necessariamente indotto. Costruire su tali comportamenti una “sindrome psichiatrica” è tanto ingenuo quanto inaccettabile, renderla di “esclusiva” pertinenza femminile senza portare alcun dato scientifico è già di per sé esempio di violenza di genere. La PAS è in realtà, semplicemente un “affare legale”, pericolosissima nei casi di abuso, dolorosissima per mamme, bambini ed anche padri “per bene”, che finiscono nelle maglie di queste teorie nel corso di procedimenti dolorosi di separazione. È, a parere della sottoscritta, anche nei casi, fortunatamente più frequenti, nei quali non vi è abuso o maltrattamento dei figli, una forma sottile, perversa, moderna di violenza intrafamiliare che si concreta nel proseguimento di un potere, che evidentemente si è esercitato durante la convivenza, dopo lo scioglimento di un matrimonio:
- con la minaccia di togliere i figli pretendendone la custodia,
- con il coinvolgimento di forme di controllo della genitorialità ufficializzate come quelle che svolgono i servizi sociali, utilissimi nei veri casi di disagio sociale, ma assolutamente inadeguati e controproducenti nella maggior parte dei casi di separazione, anche conflittuale,
- con il disastro economico indotto dal ricorso a cause legali così onerose, principalmente mal sostenuto dalle madri, visto che sono quelle che hanno, in genere, minori risorse economiche,
- con le minacce sottili ai bambini, di “dirlo al Giudice”.
È, cioè, nientemeno che un metodo per continuare un abuso, da parte di un padre-padrone, dopo la separazione, una forma di controllo successivo. I danni che essa può creare, al normale svolgimento della Giustizia oltre che alla crescita armonica di un bambino ed all’equilibrio di una donna, sono infiniti.