Mi scrivono alcuni padri domandandomi “se un padre non ha diritto a vedere i propri figli tanto quanto una madre”, “se non può essere equiparato ad una madre”, “se una madre ha il diritto di usare i figli come arma di ricatto con l’aiuto di pediatri che inventano malattie” ed ancora altro.
Vorrei premettere che non ho mai speso una parola contro la paternità. La mia battaglia in favore del recupero del significato della maternità si combatte accanto a quella per la paternità. È solo che vi sono, in questo periodo storico, attentati veri e propri alla prima, e non alla seconda. Pertanto credo necessario ricordare cos’è una madre o il rapporto madre/bambino. Questo non significa che io non consideri i padri di estrema importanza nella vita dei figli. Col padre che ho avuto, coi fratelli ed il cognato che ho! Purtroppo siamo di fronte ad un ritorno al medioevo, ad un concetto di padre-padrone che pensavamo ormai sepolto. E che non piace neanche ai padri, quelli veri. E questo ritorno è, con mio enorme stupore, supportato in qualche modo da una frangia di psicologi, neuropsichiatri, assistenti sociali, magistrati, avvocati. Tutto un mondo che cammina in modo assolutamente parallelo alla pediatria ed alla scuola. Voglio dire che, nessuno, nel mondo della pediatria o dell’istruzione si permetterebbe mai di separare un bambino da sua madre. Nessuno si permetterebbe mai di portarlo via di peso, contro la sua volontà e con l’uso della violenza, dal suo mondo, dalla sua scuola, dalla sua casa. Nessuno si permetterebbe atti coercitivi e violenti tentando di “resettare” il bambino. Non è così per quei settori della vita sociale. Tanto è vero che abbiamo un numero esageratamente elevato di bambini in casa-famiglia, contro il volere delle madri e, a volte, anche dei padri. Portati via, come Leonardo, di nascosto ed all’improvviso dalle scuole, in nome di malattie che non esistono ed in base a superficiali valutazioni del contesto di vita e della storia del bambino e della famiglia. Altro discorso è quello di chi ama i suoi figli e sta vivendo, spesso con grande dolore, una separazione. Immagino il dolore di un padre che deve lasciare la sua casa, che non può più condividere coi figli quella meravigliosa “quotidianità”, oltre che vivere la fine del suo progetto di vita con una donna. Credo di sentirlo veramente. Il problema, irrisolvibile, è che, quando la relazione si scioglie, bisogna dividersi. Ma i figli non si possono dividere. E padre e madre non sono uguali. E’ questa la mia risposta. Non sono equiparabili. Il padre è padre e la madre è madre. Importanti tutti e due ma profondamente diversi. E sinceramente io credo che i figli debbano vivere con la madre, almeno fino a quando loro stessi non manifestino la volontà di vivere col babbo, cosa che succede più coi grandi, non certo coi piccini. Riuscire a tenere le porte aperte, questa è l’arma vincente. Senza forzare, né metterli in difficoltà con l’altro genitore. Non si può parlare di diritto di “vedere i figli tanto quanto…”. Non è possibile. Lo so che chiediamo tanto ai padri. Ma è il divorzio una brutta bestia che chiede tanto, e per limitare la sofferenza dei padri, non si può far soffrire i figli. Detto questo e nel sincero rispetto per la sofferenza che la tutela del rapporto madre/bambino comporta, non posso non affermare che madri che usano “i figli come arma di ricatto inventando malattie”, sono anch’esse, ben poco madri. E non sanno il male che fanno al figlio ed a loro stesse. Genitori si è in due, quando si ha la fortuna di essere in due. E l’ordinamento permette di separarsi dal coniuge, non di distruggere la famiglia. La famiglia sopravvive ed è fatta da quelle persone lì, anche se vivono lontane. E che bella cosa, poter “delegare” l’altro almeno ogni tanto. Poter tirare un attimo i remi in barca. Poter dire “ora ci pensa lui/lei”. Potersi defilare. Poter rimanere a letto se si ha la febbre, tanto a scuola lo porta “l’altro”. Leticare col figlio, ritirarsi in buon ordine, delegando “l’altro” a finir la discussione. Avere in antipatia l’allenatore e mandare “l’altro” ai colloqui. Essere difesi, “dall’altro” genitore, quando un figlio ci manca di rispetto. Avere “l’altro” che lo va a riprendere dalla discoteca. E poter decidere “in due”, discutere le scelte per il figlio con “l’altro”, l’unica persona al mondo, unica ed irripetibile, tra miliardi di persone, che ha fatto come noi su quella creatura, quella unica e irripetibile creatura, il progetto di vita più grande ed assoluto del mondo. L’unico progetto eterno, che sopravvive anche alla morte, “la genitorialità”.