Gentili Presidenti,
nel corso della mia attività medico-legale in ambito pediatrico ho potuto rendermi conto di alcuni aspetti che ritengo pericolosi per le persone e la società e che si pongono, forse e addirittura, come vere e proprie “ingerenze” verso l’arte medica.
E’ invalso infatti il malcostume, a mio parere, nelle aule dei nostri Tribunali di confondere l’ambito clinico con quello forense, dimenticando le profonde differenze tra i due approcci e, soprattutto, il diverso fine delle due attività.
E’ essenziale ricordare che, nel primo caso abbiamo un paziente che si rivolge ad un medico, di sua libera scelta e col quale ha, evidentemente, un rapporto di assoluta fiducia. La volontarietà del ricorso alla valutazione medica ed al trattamento, che ha basi costituzionali, è garanzia della genuinità dei comportamenti, della sincerità della relazione che porta all’alleanza terapeutica fino ad obblighi ed impegni del tutto peculiari per il medico, quali ad esempio l’obbligo al segreto professionale con le sue brave esimenti dal dovere di rendere testimonianza in Tribunale.
Il paziente si sceglie il medico, si reca da lui spontaneamente, ha tutto l’interesse ad essere sincero e ad aiutarlo a fare una corretta diagnosi ed una appropriata terapia.
Il successo darà soddisfazione ad entrambi. Tutto ciò vale anche in ambito pediatrico con la peculiarità che il pediatra si interfaccia anche coi genitori, ugualmente desiderosi della migliore allenza possibile.
Completamente diversa la situazione della valutazione in ambito forense!
In Tribunale non si arriva per propria volontà ma per alterne e spesso difficili vicende. L’ambito valutativo ha il fine di far conoscere al Giudice la verità. I valutatori sono scelti dal Giudice e non dall’esaminato, che non è un paziente ma un cliente di qualcuno. Spesso l’esaminando ha tutto l’interesse ad apparire bene anche a spese della coerenza con la realtà e, quindi, diventa un mistificatore, anche bugiardo ed attore. Ambisce ad apparire al meglio forzando verità parziali. Ciò che ritiene controproducente, non verrà riferito. Il buono, enfatizzato.
Tutto ciò dovrebbe bastare a comprendere come non ci si dovrebbe MAI basare su valutazioni ordinate dal Tribunale per prescrivere terapie e trattamenti per l’enorme potenziale di errore che tali valutazioni portano con s’è. I CTU sono alleati della Giustizia, non del paziente. E non necessariamente, anzi quasi mai, gli interessi coincidono!!!
La difficoltà per il Tecnico del Tribunale è infinita, se veramente vuole fare il suo lavoro!
Ma tale lavoro, che può essere peculiare nell’ambito penale dinanzi ad assassini, malviventi etc, viene applicato con spavalderia, imprudenza, ignoranza al diritto di famiglia, laddove i problemi sono di tipo molto diverso e spesso coinvolgono bambini.
In sostanza, a mio parere, il Tribunale ed i suoi periti stanno ponendosi in antitesi col lavoro dei medici e con il Sistema Nazionale di Assistenza Sanitaria che procede per percorsi diagnostico-terapeutici studiati e validati, secondo una struttura organizzativa ben costruita.
In particolare, la insensibilità di periti, consulenti ed anche magistrati verso questo aspetto del problema, ha portato ad esporre bambini a situazioni che io ritengo gravi e degne di approfondimento.
(seguono casi….)
Questa è la situazione, e solo per fare degli esempi!
A mio parere, nelle storie di questi bambini è evidente la volontà di tenere la medicina al di fuori della vicenda. Volontà evidente nei fatti ed anche nelle parole.
Ma del resto tale posizione era evidente anche nelle Linee Guida sull’abuso sessuale nell’infanzia, nelle Linee Guida per l’ascolto del minore, nelle Linee guida per la consulenza tecnica in materia di affidamento dei figli a seguito di separazione dei genitori, per la redazione delle quali non risulta siano stati MAI coinvolti nè FNOMCeO nè Società Italiana di Pediatria.
Mi preme sottolineare che la valutazione dei bambini nei Tribunali passa attraverso professionisti che possono non AVER MAI visto un bambino come psichiatri dell’adulto e/o psicologi fac totum.
Molti di questi signori non hanno alcun dato curriculare che ne dimostri l’esperienza coi bambini. Il problema è grave, probabilmente anche nell’ambito dell’adulto laddove Neuropsichiatri infantili si permettono di valutare la salute mentale dei genitori.
Mi preme inoltre sottolineare che questi bambini, una volta entrati nelle maglie di un sistema così strutturato, perdono il diritto alla valutazione e la continuità delle cure del loro pediatra.
Non hanno più diritto all’assistenza medica visto che accade che su istanza di qualche genitore (generalmente padre) si arrivi a negare loro l’accesso alle cure del sistema sanitario nazionale e per anni preferendo riferirli ai periti del Tribunale, molti dei quali ben lontani dal SSN.
Questi bambini perdono l’assistenza graduale e per livelli che, con tanto lavoro, è stata organizzata per accedere invece, nei modi più imprevedibili ed impensabili, per esempio su richiesta di una assistente sociale che confonde diabete tipo 1 con diabete tipo 2, a livelli diversi di assistenza con danno non solo dei bambini, ma dell’intero Sistema Sanitario Nazionale.
Questi bambini, spesso presentano segni e sintomi riconducibili a quadri nosografici neanche conosciuti dai professionisti che lavorano nei Tribunali e che confondono, appunto il diabete tipo 1 col tipo 2 o l’autismo con lo stress legato al divorzio dei genitori. Nè sono a conoscenza che esistono Linee Guida e protocolli nazionali per la cura e la abilitazione di particolari tipi di bambini, ad esempio quelli, appunto, affetti da disturbi dello spettro autistico.
Questi bambini vengono sottoposti, obbligatoriamente, ad una quantità infinita di valutazioni da parte di operatori diversi ognuno dei quali lavora per conto suo, sottoposti a test psicodiagnostici interminabili e sulla cui valutazione etica ci sarebbe molto da dire.
Quando le valutazioni sono in opposizione, ad esempio, non si invia il bambino in ospedale o nei servizi appositi, ma le CTU si succedono l’una all’altra col loro carico di diagnosi e terapie anche in antitesi, sottoponendo i bambini ai più svariati, non evidence-based, non validati, procedimenti terapeutici del tutto sganciati dalle revisioni di qualità che normalmente facciamo in ospedale.
Vengono sottoposti, per provvedimento del Giudice, obbligatoriamente a interminabili supporti psicologici, non ben specificati, con percorsi terapeutici mai validati e comunque spesso a totale discrezione del perito di turno.
Vengono anche forzati a suon di minacce a soggiacere a schedule e terapie: “se non fai così non rivedrai più la mamma“, “se ti opponi, il Giudice chiama la polizia“, “se continui a dire queste cose finirai in comunità“, creando di fatto una vera e propria, incredibile violenza psicologica che avrà come esiti gli stessi del maltrattamento.
Tutto ciò mette anche a serio rischio i ragazzi più grandi che rispondono, alla fine e comprensibilmente con violenza ed aggressività scappando dai luoghi dovo possono venire rinchiusi. Sono notizie frequenti le fughe dalle case famiglia o dal genitore con cui non vogliono stare, e purtroppo, le notizie riportano anche decessi. Bambini che si mettono in autostrada in bicicletta, che salgono in treno da soli, che si allontanano per giorni. Non si creda, come facilmente accade dalla scarna notizia del telegiornale, che questi ragazzi siano dei “caratteriali” sono, invece, spesso, il risultato della violenza e del maltrattamento istituzionale che ho appena descritto.
Sono bambini che non hanno più il loro “avvocato” come il Prof Bartolozzi intendeva i pediatri. In cui i segni del maltrattamento vengono scambiati per un “parla male del padre“.
L’ascolto del bambino, che tanto riempie la bocca ai più svariati professionisti nel nostro Paese, è totalmente non praticato. I bambini italiani non sono affatto ascoltati al massimo sentiti per poi non essere creduti e venire anche obbligati a forza a soggiacere a percorsi “terapeutici” e “diagnostici” totalmente non appropriati e al di fuori della medicina delle evidenze.
A 200 anni dalla nascita della pediatria e della comprensione che il bambino ha la stessa dignità umana dell’adulto ed ha diritto al “suo dottore”, proprio perché non è un piccolo adulto, ma è un individuo molto particolare, io ravvedo la volontà di tenere i bambini lontani dai pediatri; di costruire una sorta di medicina parallela, che va per la sua strada come ravvedo anche un evidente abuso di professione da parte di psicologi, assistenti sociali e persino magistrati che continuano ad imporre terapie psichiche, mal definite, senza senso ed anche, a volte, controindicate, con costi gravissimi, economici e umani, senza averne la competenza che, invece, per istituto sociale appartiene al medico, ed in particolare, nel caso del bambino, al pediatra.
Tutto ciò va, inoltre, fuori dalle Linee Guida e dai Percorsi Assistenziali, che, con tanta fatica, abbiamo progettato e cerchiamo di diffondere a beneficio del paziente e del Sistema Sanitario Nazionale.
In sostanza ritengo che occorra aprire un momento di dialogo e confronto ribadendo il ruolo del medico e, nello specifico del pediatra, i confini di azione degli altri operatori, psicologi in prima linea, assistenti sociali a seguire e, non per ultimi Magistrati per ribadire:
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che la medicina si fa negli ambulatori e negli ospedali, non nei Tribunali.
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che la base del buon esito della terapia è, innanzitutto, un corretto iter diagnostico che non può essere quello svolto nelle aule di udienza ma costruito su una corretta relazione medico/paziente, sull’ausilio del laboratorio, delle indagini diagnostiche e sul conforto dei colleghi.
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che la terapia non si inventa, nè esiste una panacea che vada bene per tutti ma essa deve essere indicata, appropriata, approvata, seguita e discussa tra colleghi e Società Scientifiche oltre che basata su una sana e corretta compliance che non può certo essere quella di chi è obbligato, per decreto di un Giudice, a subire un trattamento!
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Che il bambino ha il diritto al Suo Dottore, e che questo dottore è il pediatra!
Un tale tipo di impostazione fa bene solo al portafoglio di professionisti ed enti privati, che agiscono spesso in totale antitesi al Sistema Sanitario Nazionale e priva i bambini e gli adulti del loro, costituzionalmente garantito, diritto alla salute, alla cure della migliore medicina possibile ed allo specialissimo rapporto col proprio medico, nel caso dei bambini, col loro pediatra.